La scoperta, avvenuta poco tempo fa, che il fenomeno delle onde gravitazionali è una realtà concreta ha affascinato gli scienziati e ha segnato un passo decisamente importantissimo della fisica moderna. Non è tuttavia sbagliato dire che quella fetta di comuni mortali che non ha dimestichezza con la relatività e con le equazioni di campo (un buon ottanta per cento degli italiani, almeno) non ha capito praticamente nulla. E il gergo tecnico di fisici e matematici certo non aiuta.
“Hanno osservato una specie di onde”, si sente dire, “che però sono fatte di gravità”. “Hanno scoperto che Einstein aveva ragione”, “hanno trovato qualcosa di straordinario, da applicare nella pratica a chissà quante cose”. Buio completo. In pochi sanno che l’osservazione dello scontro di due buchi neri, evento che è stato usato come rilevatore delle famose onde di gravità, non ha portato di fatto a nessuna scoperta nuova. Ha avuto infatti il semplice risultato di confermare sperimentalmente un’idea che già da decenni esiste in forma matematica e su cui è stato detto tutto e il contrario di tutto, prevalentemente perché riguarda un fenomeno davvero molto raro da osservare. Per poter rilevare gli effetti della natura ondulatoria della gravità, servono masse enormi e velocità astronomiche. Quale luogo migliore del cielo, quindi, per osservare un fenomeno del genere? Velocità vertiginose, masse stratosferiche, corpi sconfinati dominano l’astronomia e fanno capolino un po’ ovunque. È stato tuttavia necessario ricorrere a uno scontro tra due buchi neri, oggetti misteriosi con masse anche centinaia di migliaia di volte la massa del sole, per poter vedere qualcosa. Perché la natura ondulatoria della gravità è davvero blanda, ma c’è.
Da cosa lo avevano capito i fisici, molto prima che qualcuno verificasse questa teoria? Dai calcoli, ovviamente. O meglio, da un’equazione, nota come equazione di campo di Einstein. A differenza della relazione tra massa e energia, pure dovuta a Einstein, l’equazione di campo non è esattamente quella che definiremmo un’equazione orecchiabile, ma gioca un ruolo fondamentale nella fisica.
È un’evoluzione dell’equazione di Newton per il campo gravitazionale che, a differenza della cugina di campagna, tiene conto anche di parecchie altre variabili a cui il povero Isaac non avrebbe mai osato pensare (forse per i postumi della mela in testa?), come ad esempio la curvatura dello spaziotempo.
Le tre dimensioni del nostro spazio, insieme al tempo, formano uno spaziotempo quadridimensionale, che somiglia ad uno di quei grafici con lo spazio sull’asse x e il tempo sull’asse y che tanto odiano gli studenti, solo che, occupando lo spazio da solo tre dimensioni, nella realtà non sapremmo dove disegnare l’asse del tempo. Per osservare “da fuori” uno spazio quadridimensionale, occorre uno spazio a cinque dimensioni. Noi, nelle nostre tre appena, dovremo un po’ arrangiarci con gli esempi.
Se incurviamo un foglio particolarmente malleabile, possiamo creare degli effetti molto particolari sulla geometria all’interno del foglio. Agendo adeguatamente, possiamo aumentare la somma degli angoli interni di un triangolo o diminuirla e, con un po’ di bravura, possiamo perfino creare una geometria in cui tutte le parallele si incontrano. Morale: la curvatura, che a noi sembra un fenomeno da capire guardando dall’esterno, ha degli effetti determinanti sugli oggetti che si trovano nello spazio che viene curvato. Parlare di un “fuori” del nostro spaziotempo non ha molto senso, forse, ma la curvatura ha effetti riscontrabili comunque nel nostro mondo.
Che cosa c’entrano con tutto questo le onde? È più semplice di quel che si creda.
L’equazione di campo di Einstein (che comprende sia la curvatura “naturale” dello spaziotempo, sia quella prodotta dai fenomeni fisici in esso, che hanno capacità di deformare la realtà) non può essere trattata con troppa disinvoltura, dal momento che, oltre ad essere abbastanza complicata, non tutti i dati che contiene ci sono noti. Un esempio è proprio la curvatura “naturale” dello spaziotempo, che dipende dal destino dell’universo: un universo con curvatura positiva si richiude, anche temporalmente, su se stesso (l’universo sarebbe destinato a contrarsi di nuovo per tornare allo stato primordiale), mentre, viceversa, l’universo “iperbolico” prosegue anche temporalmente all’infinito. Il “raggio” dell’universo (qualora l’universo fosse finito) è un altro dato che non conosciamo e che l’equazione ci richiede. Di solito, anche per questo, si opera su una versione linearizzata dell’equazione di campo, cioè che trascura qualche parametro nell’ipotesi che influisca poco sul risultato finale.
È studiando questa equazione che è stato raggiunto un risultato fondamentale: la gravità può comportarsi anche come un’onda, o meglio, il campo gravitazionale può comportarsi come un’onda, secondo delle soluzioni periodiche all’equazione di Einstein. Perché allora è stato tanto difficile rilevare questa onda? Solo perché le due nature, ondulatoria e classica, del campo convivono e si compensano a vicenda, come accade per le due nature della materia, corpuscolare e ondulatoria, in cui l’effetto ondulatorio si esaurisce così in fretta che i corpi più grandi in cui l’abbiamo concretamente osservato sono delle molecole relativamente piccole. Allo stesso modo, l’effetto di campo deve essere davvero forte perché i nostri strumenti rivelino anche un effetto ondulatorio. Lo scontro tra due buchi neri era, quindi, l’occasione ideale.
Così, le previsioni teoriche sono confermate e la matematica si riconferma come uno specchio fedele della realtà.
La scoperta della natura ondulatoria del campo gravitazionale si ricollega alla natura ondulatoria del campo elettromagnetico. Dopo essersi convinti che elettricità e magnetismo siano due facce della stessa medaglia, i fisici stanno ora cercando un’unificazione anche con la gravità e magari, perché no, anche con le interazioni nucleari. La conferma di un’altra affinità tra gravità e elettromagnetismo non fa che avvalorare la tesi di chi prevede, nel futuro, un matrimonio tra le due forze fondamentali. Del resto, le leggi che regolano queste due interazioni, almeno nella versione classica, si somigliano davvero tanto (le forze sono entrambe inversamente proporzionali al quadrato della distanza, e le somiglianze non si fermano qui).
Partendo da qui, verrà sicuramente fuori chi ipotizzerà su basi matematiche anche un effetto repulsivo per la forza gravitazionale, così come esiste la repulsione magnetica.
E, magari, chi ricondurrà tutte le interazioni tra corpi ad un’unica causa, una spiegazione primordiale di tutte le forze…
Il futuro potrebbe riservarci più sorprese di quante non ne immaginiamo.
Davide Ferri